Tempo per la vita

Lavorare per vivere o vivere per lavorare?

Tirar tardi in ufficio, senza un motivo specifico, ma solo per confondersi, per essere in linea con l’andazzo generale, per non beccarsi le occhiataccie di colleghi e capi, per non passare per il fancazzista che esce presto e che evidentemente non ha voglia di lavorare e di conseguenza non puo’ che rendere poco.

Oppure uscire presto, circondati da un misto di riprovazione e invidia,  accompagnati dalla battuta dei piu’ coraggiosi: “Fai mezza giornata oggi, eh?”

A Milano, mediamente, si torna a casa tardi. Si sacrifica una parte della propria vita personale sull’altare dell’approvazione sul posto di lavoro. Piu’ ore passi in ufficio e piu’ ci tieni, piu’ sei un bravo lavoratore.

Eppure il tempo e’ una delle risorse piu’ importanti che abbiamo. E ci rinunciamo, con leggerezza. Perche’ non c’e’ alternativa.

E’ notizia di oggi che il vicecancelliere tedesco il mercoledi andra’ a prendere la figlia al kindergarten invece che partecipare alla riunione settimanale.

http://www.repubblica.it/esteri/2014/01/06/news/germania_vice_cancelliere_in_permesso_per_fare_il_pap_scusate_ma_il_mercoled_sto_con_mia_figlia-75210576/

Al di la’ del fatto, evidente, che dietro questa notizia non ci sia (solo?)  una decisione personale ma una campagna di comunicazione, posso solo confermare come in media ci sia una differenza abbissale nel bilanciamento famiglia-lavoro tra Germania e Italia.

Per la mia esperienza, qui dedicare tempo alla famiglia e alla vita personale e’ considerato un valore e non una mancanza lavorativa. Noi, da quando viviamo qui, abbiamo recuperato 1-2 ore di vita familiare al giorno. E visto che il tempo e’ la risorsa piu’ importante che abbiamo, questo incide molto pesantemente sulla nostra qualita’ della vita.

Al Kindergarten della nostra piccola alle 16 ci sono tanti papa’ a prendere i figli: diciamo il 35-40%. In italia credo di non averne mai visto uno. Idem a danza o a hockey: sono le 15-le 16 di pomeriggio ed e’ pieno di papa’ che accompagnano i figli, li cambiano, li guardano ballare, giocare, etc.. Non so che lavoro facciano, ma sono li.

La gara a chi fa piu’ tardi negli uffici milanesi qui sarebbe impensabile. Anzi, si cerca di fare presto per tornare a casa. E questo non e’ considerato una pecca ma un valore. Se ci tieni alla tua vita privata e (se ce l’hai) alla famiglia, sei una persona che sa dare il giusto valore alle cose e che merita rispetto.  E tutto questo conta, anche sul lavoro.

Anni fa un’amica italiana che lavorava ad Amsterdam mi raccontava di essere stata richiamata dal capo del suo capo, perche’ usciva dall’ufficio oltre il normale orario di lavoro. C’era qualcosa che non andava: o lei era incapace di fare il lavoro nei tempi previsti o il suo capo le aveva assegnato un carico di lavoro eccessivo. In entrambi i casi, c’era un problema. Che andava risolto.

Ovviamente ci saranno aziende in Germania dove si tirano le 8 di sera senza battere ciglio e aziende in Italia dove se esci alle 5  ma porti i risultati che devi sei considerato una risorsa valida (e io ho avuto la fortuna di lavorarci, in un’azienda cosi: grazie Miriam, grazie Gianni, grazie Marcello). Ma, a parte le eccezioni, il trend e’ quello. E mi fa essere felice di essere qui. In un posto dove, mediamente, si ha piu tempo per la vita.

Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guadarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per guardare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.

In attivo. Punto 2: La forza dentro di noi

Lo so, questo titolo echeggia in parte i romanzi sentimentali di Rosamunde Pilcher e in parte le frasi magiche che accompagnavano le trasformazioni delle eroine dei cartoni giapponesi degli anni 80.

E invece parla semplicemente di noi e della forza che abbiamo scoperto dentro di noi.

Non so dove si fosse nascosta fino al momento del trasferimento. Non so se fosse li, dormiente e sorniona, anche prima o se sia autoprodotta, come in una reazione chimica, in seguito alla presenza e all’interazione di elementi come la paura, le tante novita’, il senso di smarrimento.

Fatto sta che questo stravolgimento nella nostra vita mi ha fatto scoprire degli aspetti di oguno di noi che non avevo conosciuto nella nostra vita precedente. E che se c’erano, erano presenti in dosi sicuramente minori.

L’esempio piu’ lampante e’ quello dell’ottenne (ora novenne). Anche due anni fa l’avrei descritta come una bambina forte e determinata. Ma non avrei mai pensato che, messa alla prova dagli eventi, potesse tirare fuori cosi tanta determinazione, spinta probabilmente dal non trovarsi a proprio agio in questa situazione e dalla necessita’  impellente di tornare a essere la bambina felice piena di amici e brava a scuola che era in Italia.  E per farlo aveva un primo grosso ostacolo: la lingua. E il tedesco l’ha affrontato con una forza davvero da super-eroina. Ha deciso che doveva farcela e presto. E allora ha studiato e scritto e letto, finche’ non ha iniziato a capire e parlare sempre di piu. E via via che studiava e leggeva, migliorava. E questo evidentemente le dava la conferma di essere sulla strada giusta e la faceva andare avanti, con sempre maggiore forza. E per me e’ incredibile che lei abbia letto 90 libri  in 8 mesi (tranquilli, non sono pazza io che li conto, ma qui c’e’ un sito in cui ti iscrive la scuola dove i bambini registrano i libri che leggono) ma forse e’ merito proprio di tutte queste parole che le sono entrate in testa dalle migliaia di pagine lette se gia’ dopo pochi mesi lei era in grado di parlare senza grossi problemi.

Ma non tutti reagiamo allo stesso modo. La treenne (ora quattrenne) per mesi non ha detto una parola in tedesco. Era serena: giocava e interagiva ma senza proferir parola in tedesco. Parlava con le maestre (“tedesche di Cermania”) in italiano, sostenendo convinta che “loro sono italiane, mamme. Non ti preoccupare, poi si stancheranno di parlare in tedesco e inizieranno a parlare in italiano”. Come in un grosso Truman Show, lei aspettava che tutto finisse. E non so se poi ha capito che rischiava di aspettare in eterno o se semplicemente ci ha preso gusto, ma improvvisamente (dopo tanti mesi, quando gia’  da tempo gli altri due erano in grado di fare ampie trattazioni nella lingua di Goethe) ha iniziato a parlare. Tutto un tratto, come un fiume che trova la strada tra le rocce ed esce fuori. Dopo aver immagazzinato per mesi, era arrivato il suo momento di esprimersi.

E’ stata dura. Ma loro sono stati ancora piu’ duri. E ce l’abbiamo fatta. Ognuno a suo modo.

Ci sono state le difficolta’, i pianti, i “Voglio tornare a casa. Ora!”. Ma dopo lo scoramento e’ sempre arrivato il coraggio e la forza. E quando dentro di noi non ce n’era, siamo ricorsi anche a degli aiutini esterni…

Il ricordo delle “caramelle della forza” rimarra’ credo per sempre nella nostra mente. Le avevo comprate all’oratorio a Milano, dove avevano passato l’ultima settimana prima del trasloco. Ne erano ghiotti e io ne avevo fatto scorta.

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Qualcosa mi diceva che sarebbero servite. E nelle prime settimane qui, scaraventati in un campus comunale dalle 9 di mattina alle 5 di pomeriggio, in cui nessuno parlava e capiva una parola di italiano, le caramelle della forza – come le avevamo nominate –  sono state fondamentali per combattere i momenti di difficolta’. Erano li nello zaino ad aspettare. Una per ogni giorno. E loro sapevano che quando arrivava il magone, quando si sentivano di non farcela, erano li. Un po’ panacea e un po’ placebo e un po’ anche concentrato di amore della mamma. E quando un giorno sono tornati a casa con le caramelle della forza ancora nello zaino, allora ho capito che ce l’avremmo fatta. Avevamo scoperto la forza DENTRO di noi.

Casa dolce casa – E siamo a 12!

Lo abbiamo fatto: abbiamo comprato casa. Si, qui, a Duesseldorf.

Alternativa al caro-affitti? Desiderio di sentirsi piu’ a “casa”? Voglia di piantare radici?

Forse un po’ di tutto questo. Anche se le radici possono sempre essere trapiantate, come sappiamo bene. D’altronde a Milano abbiamo lasciato una casa appena ristrutturata “propriocomepiacevaanoi” ma abbandonata dopo poco piu di un anno dal suo (e nostro) stravolgimento.

Dunque, ora c’e’ una nuova casa.

Ci sono stati:

  1. visite a casa improbabili dai prezzi esorbitanti e dai dettagli ignoti in quanto illustrati in tedesco
  2. un agente immobiliare italiano che gestiva la migliore casa che potevamo trovare (o quanto meno la migliore che abbiamo trovato!) per conto di proprietari italiani anche loro (il tutto frutto del caso assoluto e scoperto solo quando mi ha chiamato l’agente dopo aver ricevuto il messaggio del form di richiesta info che avevo compilato sul sito degli annunci immobiliari, chiedendomi in tedesco “Preferisce che parliamo in italiano o in tedesco?”)
  3. la firma dal notaio che almeno nel nostro caso  era  un signore piuttosto dimesso e quasi simpatico che lavora in uno studio dove la moquette e’ macchiata con una segretaria un po’ dimessa, vestita in jeans e t-shirt extra-size… Se penso agli studi luccicanti e alle collaboratrici uscite da una rivista di moda di Milano e a quanto si prendono sul serio mi veniva un po’ da ridere…

Ci saranno:

  1. nottate a decidere la disposizione delle piastrelle (che poi tra sei mesi le avresti pure potute fare color beige spento che saresti felice lo stesso ma ora ti sembra una questione di vita o di morte)
  2. pacchi e traslochi
  3. stress a non finire

Ma soprattutto ci sara’ una nuova casa per la nostra nuova vita. Almeno finche la nostra vita sara’ qui. In questi giorni la domanda ricorrente “Comprate casa? Ma allora rimarrete qui?” mi ha dato l’occasione per ripassare mentalmente le case della mia vita:

  1.  Potenza, a Santa Maria
  2. Potenza, in via Ionio
  3. Roma, vicina di casa del Papa in viale Vaticano
  4. Roma, vicino Piazza Irnerio (acc… non mi ricordo la via!)
  5. Milano, da mia sorella in via colletta (ospite per sei mesi!)
  6. di nuovo Roma, in via delle Calasanziane
  7. Roma, via Cassia, la prima casa con il marito non ancora marito (ma forse posso chiamarla casa sono perche il ricordo e’ annebbiato dagli anni… Per noi allora, pero’, era bellissima!)
  8. Milano, via Montevelino
  9. Milano, via Boffalora (la prima casa che abbiamo comprato)
  10. Milano, la nostra ultima casa, la nostra casa!
  11. Duesseldorf, Derendorf, la nostra prima casa in terra tedesca

Tralasciando quelle sotto i tre mesi (che altrimenti dovrei metterci anche il dorm della Fordham University di NYC e il residence dove abbiamo vissuto appena trasferiti a Milano), con questa siamo a 12!

Compriamo casa. Rimarremo qui? Per ora si, in attesa del futuro.

In passivo – Punto 1: Heimweh, nostalgia di casa

Non abbiamo la valigia di cartone, non siamo stati spinti dalla disperazione ma rimaniamo pur sempre degli emigranti, degli espatriati.

Certo, protagonisti di un’emigrazione privilegiata e facile, come diceva la Fenoglio nel suo meraviglioso “Vivere altrove” che ha  ispirato anche il titolo di questo blog.  Ma non per questo meno dolorosa, aggiungeva.

Qualche giorno fa una delle persone che ha contribuito – con la sua capacita’ di coinvolgere e il suo entusiasmo –  a riempire questo mio primo di anno di vita qui, una delle persone piu speciali che questa citta’ mi abbia regalato, scriveva queste parole che esprimono bene le dinamiche emotive che probabilmente accomunano e uniscono tutte le persone che vivono altrove:
“Perdere tutti i punti di riferimento, trovarsi sradicati per poi a piccoli passi cercare una propria identita’ in un mondo diverso! Questo senso di precarieta’ mi pervade sempre….”

Ed eccola li, la nostalgia. I sapori, gli odori, i colori non sono quelli che hai sempre conosciuto. Cambiano i paesaggi, cambiano le abitudini, cambiano le parole. E cambi un po’ anche tu.

Questo struggimento ha avuto per me un’ intensita’ e delle sfumature diverse.

Per me che ho vissuto i primi 35 anni della mia vita in tre citta’ diverse, che tutte ho sentito come “casa”: quella citta’, la mia Potenza, dove sono nata e dove sono stata bambina, quella citta’, la mia Roma, dove sono diventata adulta e dove ho vissuto gli anni piu’ belli e spensierati fatti di amicizie e di amore (e si, un po’ anche di studio), quella citta’, la mia Milano, dove sono nati i miei figli, dove sono nata e cresciuta lavorativamente,  dove ho comprato la mia prima casa.

Per me, che poco prima di questo grande cambiamento, ne avevo subito un altro. Brutale, duro da accettare, definitivo. E doloroso.

Ma probabilmente la nostalgia di casa non ha avuto solo per me un’intensita’ e delle sfumature diverse. E’ cosi per tutti. Sentiamo questa sensazione, dentro. Ma ognuno in modo diverso.

E anche in questo i tedeschi sono piu’ concreti di noi: Heimweh. Heim, casa. Weh, dolore. Dolore di casa. 

roma milano

In attivo – Punto 1: Vivere in una citta’ vivibile

Erano anni che il marito veniva qui, a Düsseldorf, per lavoro. E tutte le volte che tornava buttava li una battuta, un riferimento, una frase “Sai che e’ carina la cittadina dove vado.  Da’ l’impressione di essere proprio un bel posto dove vivere…”

Ma ovviamente veniva puntalmente ignorato: non avevo un’idea precisa di dove ‘sta Düsseldorf si trovasse, come fosse e non l’aveva mai sentita citare da alcuno come un luogo imperdibile ne’ a nessuno era mai passato per la testa di annunciare che la citta’ ideale, quella ipotizzata da Campanella un bel po’ di tempo fa, avesse trovato la sua collocazione nel nord ovest della Germania, lungo il fiume Reno.

E poi invece siamo venuti. E abbiamo scoperto che forse non aveva torto l’indagine che da anni pone Düsseldorf tra il quinto e il sesto posto tra le  citta’ con la migliore qualita’ della vita al mondo, considerando una serie di fattori quali i salari, la qualita’ delle infrastrutture e le attivita’ culturali.

Si, noi qui a Düsseldorf viviamo proprio bene. I motivi sono tanti. Non credo che riusciro’ a elencarli tutti e sicuramente lo faro’ in modo casuale e poco sistematico. Ma provo a mettere insieme quelli che mi vengono i in mente ora:

1. E’ una citta’ relativamente piccola, in venti/venticinque minuti di macchina al massimo sei da nord a sud, da est a ovest. In realta’ Wikipedia mi informa in questo istante di come  la superficie di D-dorf sia 217 km²  e quella di Milano 181 km² ma vai a capire cosa hanno incluso e cosa no. Io so solo che la mattina alle 8.30 a Milano per andare da casa mia (in citta’, zona sud) al vecchio ufficio (in citta’, zona nord est)  ci potevo mettere anche un’ora ma non credo di averci mai messo meno di 35 minuti. E che invece l’estate scorsa per arrivare al campus dei miei figli a Flingern Sud (in citta’, zona sud) da casa mia (in citta’, zona nord) impegavo una decina di minuti, al massimo un quarto d’ora. In entrambi i casi c’e’ una specie di circonvallazione (Tibaldi/corso Lodi, per i milanesi e Brehmstraße/Lindemanstraße per chi conosce Düsseldorf) ma qui, non si sa perche’, tutte le mattine riuscivo a beccare la scia verde e praticamente non mi fermavo mai a un semaforo. Dite che lo facevano solo per me, per darmi il benvenuto e farmi convincere di aver fatto la scelta giusta??? Puo’ essere, chissa’…

2. internazionale, dove un abitante su cinque e’ straniero ( c’e’ la comunita’ giapponese piu grande d’Europa) e dove forse piu’ che in altri posti qui in Germania e’ piu’ facile  sentirsi accolti

3. con una fitta rete di mezzi pubblici e  piena zeppa di piste ciclabili, dove puoi girare con bambini piccoli e 6/8/10 ruote in tutto (a seconda della configurazione) senza farti venire un infarto a ogni incrocio

4. ma dove ci sono anche tante grandi aziende, condizione essenziale per noi, visto i lavori che facciamo. Che so, in Italia,  Ferrara  e’, ad esempio, una graziosa cittadina piccola dove si gira in bici, ma li non ci sarebbe stata nessuna Vodafone e non ci sarebbe nessuna azienda paragonabile alle varie Henkel, Metro, Bayer, E On che hanno il loro quartiere generale qui a Düsseldorf o nelle sue vicinanze.

5. relativamente sicura, in cui i bambini gia’ da 6-7 anni vanno in giro da soli e dove in un anno ho sentito parlare di furti in casa tre volte (il numero di volte in cui in un anno i ladri sono entrati a casa mia a Milano)

6. e c’e’ un’offerta culturale strepitosa e una vivacita’ incredibile: iniziative in piazza di tutti i tipi, festival, spettacoli teatrali, musei con collezioni di altissimo livello (il mio quadro preferito, il cui poster era appeso nella mia cameretta da ragazzina, e’ – sara’ stato un segno del destino? – proprio qui! E insieme a questo e altri Kandinsky ci sono dei Dali, dei Picasso e molte altre bellissime opere del ventesimo secolo), kandinsky

7. tendenzialmente pulita e ordinata, dove puoi camminare senza dover continuamente fare contemporaneamente da araldo e navigatore, annunciando a ogni passo a chi cammina con te dove virare per schivare le decine di escrementi di cane (soprattutto se, come me,  ti accompagni a under 10 e vuoi evitare di passare la serata a togliere la cacca dai tacchetti delle scarpe da ginnastica)

8. in linea di massima le cose funzionano. Certo, l’assicurazione sanitaria (diciamo il corrispettivo delle tasse che in Italia si pagano per il sistema sanitario) non e’ per niente economica, ma ieri tra quando sono entrata al pronto soccorso e quando sono uscita sono passati quarantacinque minuti (comprese le spiegazioni in un misto di inglese e tedesco, la cucitura e un minimo di attesa), quando mi si e’ spaccata una lente degli occhiali 48 ore dopo era stata sostituita con in mezzo la prenotazione della visita dell’oculista (via mail), la visita  (costo: 0) e il rifacimento della lente (2 ore; costo: 40 euro), se vai dal medico di base perche’ non ti senti bene non esci con una serie di prescrizioni di analisi e approfondimenti da prenotare (e poi ritirare e riportare dal medico) ma con la promessa di una telefonata due giorni dopo in cui ti daranno i risultati delle analisi che hai fatto nello studio insieme ad un paio di ecografie, per escludere altre ipotesi.

No, non controllate la URL, non siete finiti sulla pubblicita’ del NRW (la regione tedesca, di cui Düsseldorf e’ la capitale) per incrementare il flusso di arrivo di nuovi cittadini a Düsseldorf. Che tra l’altro, avevo ragione negli anni scorsi e in cima a questo post, non e’ la citta’ ideale ne’ l’Eldorado, ma semplicemente una citta’ in cui si vive bene. Anzi, una citta’ in cui noi viviamo bene, perche’ ovviamente non solo non tutti potrebbero essere d’accordo coi punti sopra, ma anche non tutti daranno presumibilmente la stessa importanza che do io ad alcuni di questi punti (presumo sia piuttosto diversa la lista di qualcuno che non va mai in bici e che non sia finito – direttamente o indirettamente – gia’ tre volte al pronto soccorso in un anno, come qualcuno che conosco io…)

Pero, si, quanto raccontato sopra rappresenta per noi un punto non da poco, nel nostro personale bilancio.

Ah, e’ vero, eravamo partiti dal bilancio.  Questo e’ l’attivo, anzi e’  la prima voce dell’attivo

1. Vivere in smile, you are in dusseldorfuna citta’ vivibile, ovvero in una citta’ relativamente piccola, internazionale, con una fitta rete di mezzi pubblici e  piena zeppa di piste ciclabili, dove ci sono anche tante grandi aziende, relativamente sicura, tendenzialmente pulita e ordinata, dove in linea di massima le cose funzionano

E poi, si, ovviamente, c’e’ anche il passivo.  Eccome se c’e’.

Tempo di bilanci

Questo blog nasce a un anno dal nostro arrivo qui. E’ tempo forse di un primo bilancio. E come in tutti i bilanci che si rispettino ci sono le entrate e le uscite, i pro e i contro, i plus e i minus, i “Che figata stare qua. Col cavolo che in italia avremmo…” ma anche i “Ma chi ce l’ha fatta fare?”. E il bello e’ che tutto questo avevamo provato a prevederlo, a ponderarlo, a calcolarlo. Nelle settimane della decisione, mentre i colloqui andavano avanti e l’ipotesi diventava sempre piu’ concreta, avevamo passato intere nottate, fino all’alba, a riempire fogli di excel fitti fitti di numeri e proiezioni, avevamo parlato fino a farci passare il sonno di come sarebbe stata la nostra nuova vita, avevo sbirciato tutte le mattine le webcam puntate sulla citta’, cercando di familiarizzare con i luoghi, cercando di iniziare a sentirli “miei”.

Ma ovviamente nulla o quasi e’ come te lo puoi aspettare a un migliaio di km di distanza. E scopri cosi che le delusioni non le puoi prevedere (altrimenti non sarebbero tali), che la nostalgia fa male dentro e che le gioie, quelle si, le puoi pregustare, ma che poi quando le vivi si arrichiranno di intensita’, di sfumature e di calore.

Avevamo previsto, ponderato, calcolato. E alla fine deciso di accettare, di partire, di provare. Perche’ per rendere il tutto meno drastico e definitivo ci ripetevamo che saremmo sempre potuti tornare indietro, che nessuno poi ci avrebbe legato li. Che dopo un po’ (non subito, perche’ non vale, ci sarebbe voluto un po’, diciamo un anno) ci saremmo chiesti se eravamo felici. E se no, avremmo di nuovo previsto, ponderato, calcolato. Perche’ lo facevamo per questo, per essere felici. Anzi, per essere piu’ felici, visto che per fortuna lo eravamo gia’.

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E ora eccoci: e’ passato un anno. Ed e’ arrivato il momento.

15 giugno 2012

In questo giorno e’ iniziata la mia vita altrove. La nostra vita altrove.

In questo giorno, esattamente un anno fa, siamo arrivati a Düsseldorf, Germania. Insieme a noi c’erano due camion che trasportavano tutta la nostra vita precedente.

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Quella vita che per uno strano scherzo del destino era in qualche modo iniziata, per noi cinque, esattamente 10 anni prima: il 15 giugno 2002.

Il giorno in cui, almeno ufficialmente, iniziavamo a esistere come famiglia.matr